domenica 15 agosto 2010

Paris regala le sue scarpe da 5.000 euro all'amica tantissimo del cuore!

Subito il campo sgombro da qualsiasi dubbio: non ho nessuna intenzione di scrivere di Paris Hilton, né in positivo né in negativo. 
Lo scopo  del titolo di fantasia, sgrammaticato e infantile, è introdurre in maniera inconsueta l'argomento di questo post e ironizzare sui molti servizi televisivi e articoli su carta stampata che non sono poi di tenore così distante da quello che avrebbe potuto seguire la bizzarra intestazione.
 
Quindi nessun viaggio nel mondo dei vip, il tema che mi  sta invece a cuore è il ruolo dell’informazione in senso più generale e le considerazioni che ne possono scaturire.
Perchè riflettere su come i circuiti e le regole della comunicazione impattano sulle nostre vite
non è assolutamente tempo perso, la semplice operazione è un atto di maturità che può concorrere a renderci intellettualmente più vivaci e liberi.
Ed è un esercizio meno filosofico di quanto potrebbe apparire di primo acchito.

In questi giorni mi sono sorpreso più volte a ragionare su quanto le crisi hanno un peso diverso nei media e su come noi reagiamo in maniera altrettanto differente. Non è certo un pensiero rivoluzionario: sovente si possono sentire accorati appelli di organizzazioni no profit, associazioni culturali, minoranze, gruppi politici, persone vittime di abusi. Essi lamentano una silente  indifferenza dei mezzi di comunicazione di massa verso problematiche e istanze oggetto delle loro battaglie. Sanno bene che se le loro tematiche non verranno trattate sufficientemente, è come se in un certo modo anche di fatto perdessero importanza, e nelle agende politiche, nell’opinione pubblica e in chi deve intervenire per dargli seguito o risolverle, sarà maggiore la probabilità che vengano dimenticate, insabbiate o affrontate con poca convinzione.


Pensavo in particolare al ruolo riserbato dai telegiornali e dai giornali ai disastri cominciati a fine luglio, a causa delle alluvioni provocate dalle piogge monsoniche, che hanno messo in ginocchio soprattutto il Pakistan, ma anche Cina e India. La situazione in Pakistan non pare meritarsi lo spazio che sarebbe commisurato alla portata effettiva della catastrofe. Eppure la spropositata calamità ha provocato migliaia di morti, ha colpito 20 milioni di persone che sono a rischio fame e malattie, tra cui il colera che immancabile in questi casi si sta cominciando a presentare. L’ONU lancia appelli per raccogliere 460 milioni di dollari per far fronte all’emergenza inondazioni e ha parlato di una tragedia di dimensioni enormi che, non per l’attuale numero di morti ma per la devastazione, è paragonabile allo tsunami del 2004, i terremoti in Kashmir del 2005 e al sisma di Haiti del gennaio di quest’anno. Tutti insieme. 

I mezzi di comunicazione non paiono trattare ciò che sta accadendo in Asia con sufficiente interesse e costanza, non è scattata quella gara di solidarietà che per altre tragedie si innesca, latitano gli appelli per sensibilizzare le persone al problema e per trovare come aiutare gli abitanti di queste regioni, magari con il classico dono di un sms o tramite bonifico bancario.
Ci sono alcune crisi umanitarie che vengono percepite come prevalenti e sono di interesse globale, sentite come disgrazie che ci toccano da vicino e ci commuovono. Altre di cui a malapena sappiamo di cosa si tratta. Non è una sterile accusa ai telespettatori e ai lettori: molti dovrebbero probabilmente avere un’occupazione che gli potesse permettere di dedicare un quarto della giornata lavorativa alla lettura dei quotidiani e dei principali approfondimenti per sapere tutto ciò che conta veramente. Ma oggettivamente quasi nessuno ha un lavoro di questo genere.

Certamente è a dir poco limitante che molte realtà non vengano presentate adeguatamente perché altri decidono sistematicamente cosa è degno di essere trattato e in che modo. Il paradosso è che se una notizia non è veicolata nei telegiornali in maniera importante o non viene ospitata
dai giornali nelle prime pagine, si colloca subito come un fatto di serie B. E se i media limitano gli spazi concessi a poco più di concise ANSA o piccoli trafiletti, spesso il fatto, sebbene di rilievo, cade in una sorta di spirale dell’oblio e abbandona lo status di informazione che può essere raccontata diffusamente, proprio perché non raccoglie più alto coinvolgimento e partecipazione. E rischia seriamente di vedere calare il sipario su se stesso e venire dimenticato, salvo magari essere rispolverato più avanti da qualcuno e ritornare forse di interesse pubblico.
 
Naomi Campbell può ottenere per giorni una gigantesca risonanza mediatica, con il lancio del suo cellulare contro una governante, ben maggiore di quella che riesce a conseguire una bomba che uccide decine di persone in Africa o del drammatico aumento dei suicidi nelle carceri italiane. Eppure dietro a questi avvenimenti ci sarebbero un mondo di retroscena da comprendere, storia da conoscere, dinamiche da indagare.
La cronaca nera e rosa risultano molto seguite e capaci di ingenerare una curiosità che porta talvolta a seguiti programmi di stucchevoli  approfondimenti e analisi di sfumature che sconfinano anche nel morboso. I dettagli di un delitto che colpisce l’opinione pubblica, ad esempio, vengono studiati, proposti e riproposti, interpretati, fatti vivere al telespettatore e ai lettori molto oltre il concepibile e l’onestà intellettuale. Si tratta di un mare di tempo e di molte energie investite sia dai media che dalla gente comune. Giganteschi forum di discussione trasversali un po’ a tutto, dai mezzi di comunicazione ai dibattiti nei pub, fuori casa se ne parla anche con gli sconosciuti mentre si prende il caffè la mattina, fioccano le analisi psicologiche degli indagati, sono molte le perizie basate su ciò che si è scoperto dedicandosi “scientificamente” al caso da telespettatori, vengono emessi verdetti inappellabili dopo aver soppesato ogni variabile, non ci si lascia nemmeno scappare “doverose” considerazioni sul look degli imputati, ondate di sdegno, curiosità o paura serpeggiano e crescono repentinamente nella gente.
Poi di colpo il silenzio mediatico. La notizia ha saturato.
Dopo improvvisamente il nostro di silenzio. La notizia è oramai percepita come vecchia.

La microcriminalità ne è un buon esempio: periodicamente viene affrontata come fenomeno fuori controllo, per mesi interi, provocando talvolta generalizzati stati di insicurezza e ansia. Problema reale, sicuramente, la cui risoluzione è una tappa imprescindibile per le società di tutto il mondo. Il punto è la delicata differenza tra ciò che viene presentato come criticità, la cui risoluzione non è più procrastinabile perché alla deriva, e la realtà dei fatti. Le statistiche ci raccontano che la microcriminalità, compreso in verità anche il numero di omicidi, risulta in calo negli ultimi anni: lungi dall’essere appagati e decretare chiusa l’azione contro la malvivenza, ma forse al momento il “diritto” alle prime pagine e ai cori di allarme dovrebbero averlo altre notizie.  

Sono molte le vittime, forse meno metaforicamente di quanto l’espressione potrebbe suggerire, lasciate sul terreno nella corsa per accaparrarsi l’interesse del pubblico. Affidandoci alle solenne promesse e ai proclami di circostanza dei vertici della politica e della società industrializzata, a cui apparteniamo, molte crisi avrebbero dovuto divenire uno sbiadito ricordo nel giro di qualche decennio, ma sono tutt’altro che acqua passata. Rimangono invece sulle “prime pagine” di centinai di milioni di persone nel mondo che, loro malgrado, devono vivere in prima persona ogni giorno della loro vita queste tragedie: dalla fame all’HIV/AIDS, dalle guerre ai genocidi, dal razzismo alle violenze sulle donne.
Una lettura illuminante, di meno trenta pagine e completamente gratuita, è il Rapporto dei Medici senza Frontiere “Crisi Dimenticate 2009”, realizzato in collaborazione con l’Osservatorio di Pisa, istituto di ricerca e di analisi della comunicazione. Lo trovi cliccando qui.
Nel rapporto vengono presentate significative analisi e importanti spunti di riflessione, anche se spesso agghiaccianti.
Qualche dato esemplificativo mi permetterà di spiegarmi meglio.
Colpisce che nel 2009 solo il 6% dell’informazione è stata dedicata dai telegiornali a eventi o contesti di crisi, in costante decrescita rispetto al 10% del 2006. Due crisi che trovano un po’ più di spazio sono quelle in
Afghanistan e in Medioriente. Ma le altre possono beneficiare di ben poca considerazione: nell’estate 2007, a fronte  del numero perlomeno inquietante di 63 notizie incentrate sulla vip Paris Hilton, hanno travato spazio solamente un totale di 41 notizie su Darfur, Somalia, Repubblica Democratica del Congo, Repubblica Centrafricana e Ciad.
Sembrano classiche iperboli per realizzare una battuta umoristica di successo.
Ma questa è la verità dei fatti.
L’estate 2008 invece vede da un lato Carla Bruni con 208 notizie, i 3 mesi di caldo con 81, Briatore-Gregoracci 33. Dall’altro il tema della malnutrizione viene riportato in 110 notizie, il Sudan 53, il colera in Zimbabwe 12.
A causa dell'audience, con ciò che predilige,  e dei media, che per necessità, pavidità e opportunismo si lasciano dominare dal richiamo degli investimenti pubblicitari, si crea un circolo perverso in cui viene snaturato il senso dell'informazione.
Sarà chiaro in ogni modo ai più che un sistema di comunicazione di questo tipo è seriamente deficitario sia dal punto di vista informativo che, nemmeno a dirlo, formativo.

L’Osservatorio di Pavia scrive che “i media alimentano, animano e influenzano continuamente la vita intellettuale, affettiva e sociale di tutti e in particolare quella degli adolescenti; dai media i giovani attingono elementi importanti per costruire la propria identità e la propria visione del mondo, i propri modelli di salute, benessere, comportamento sociale, la rappresentazione del mondo del lavoro, del consumo, della società in generale”.

Dovremmo permettere a noi stessi di dedicare alcune porzioni del nostro tempo per cercare fonti dignitose e alternative di informazione, approfondire almeno ogni tanto quanto è realmente una notizia nella sfaccettatura più matura e intelligente del termine. Sforzarci di leggere anche solo qualche giornale in più fino alla fine, dare una lettura alle notizie presentate in siti internet che consideriamo attendibili, leggere un libro su realtà semisconosciute per noi, provare la sconcertante sensazione di assistere a come “cambia” il mondo a seconda dei telegiornali che si vedono nello stesso giorno. Sono azioni personali che possono apparire un pizzico faticose e senza grandi ripercussioni nella risoluzioni della maggior parte delle problematiche.

Ma non è così.

La verità è che ci dobbiamo rendere conto che fruire di una informazione completa, imparziale e sensata ci farà crescere e migliorare come persone, ci darà soddisfazione facendoci sentire come risvegliati, vivi e partecipi delle sorti del mondo, ci permetterà di essere più “umani”, non come ovvio sostantivo ma anche riconquistandoci e meritandoci l’aggettivo. Dagli acquisti della spesa che faremo a cosa guarderemo in televisione la sera, dai capi di vestiario che indosseremo alla loro composizione, da chi aiuteremo con i nostri sms di solidarietà ai libri che leggeremo, da chi voteremo a chi sarà destinatario delle nostre mail e lettere di protesta o di sostegno. Di passo in passo ogni nostro comportamento o scelta diverrà il frutto comunque di una maggiore consapevolezza e capacità critica. Qualunque modo di agire decideremo di avere, visti nella totalità delle persone, saremo in grado di influenzare in maniera più responsabile e incisiva ciò che sembrano monolitiche situazioni di fatto, a cui forse difficilmente possiamo opporci come singoli.

Essere informati in maniera adulta e agire di conseguenza non è prescindibile se aspiriamo a una reale democrazia, alla pace, a un profondo rispetto della natura, dei nostri simili e di noi stessi.

E saremo più felici. Sul serio. Tutti.




Sotto trovi alcuni link per decidere di scoprire di più o di sostenere con il tuo aiuto le popolazioni pakistane.



Nessun commento:

Posta un commento